Sulla memoria
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più.
Mi viene in mente un bellissimo passo di Pavese tratto da Il mestiere di vivere:
Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato.
Si diventa creatori - anche noi - quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia
A tal proposito, sempre di Pavese, mi viene in mente la poesia che dice:
(Da Cesare Pavese - Poesie, ed. Einaudi)
Questo è il giorno che salgono le nebbie dal fiume
Nella bella città, in mezzo a prati e colline,
E la sfumano come un ricordo.[...]
Val la pena aver fame o essere stato tradito
dalla bocca più dolce, pur di uscire a quel cielo
ritrovando al respiro i ricordi più lievi.
(pag. 63)
A volte i ricordi sono però grossi macigni che rotolano dentro di noi, trasportando paure e sofferenze mute.