lunedì, ottobre 30, 2006

Sull'Alienazione - I

Celine nel suo "Viaggio al termine della notte" (Ed. Corbaccio per La Repubblica) scrive, facendo parlare un medico che visita il protagonista Ferdinand Bardamu prima dell'assunzione in una fabbrica della Ford:
"Non ti serviranno a niente qui i tuoi studi, ragazzo! Mica sei venuto qui per pensare, ma per fare i gesti che ti ordineranno di eseguire"
(pag. 214)
Questa frase, così devastante proprio per la sua verità, dipinge lucidamente la vita nella "fabbrica" dove l'uomo è considerato un semplice pezzo dell'ingranaggio in cui conta la produzione e non l'individualità, in cui a vincere è la velocità e non la riflessione. Il lavoro da "catena di montaggio" produce quel senso di sconforto per evadere dal quale gli "attori" cercano, a volte anche loro malgrado, mille espedienti, mille sotterfugi per sentirsi vivi, carnalmente esistenti, lì dove il tempo è scandito dai ritmi produttivi, in cui gli orologi non hanno più le lancette consuete ma quelle mosse dai pezzi prodotti, lì dove i fumi, gli odori di stantio, di acqua marcia, entrano nelle ossa, si chiede, anche per sè, un pò di lubrificante... E' in questo ambiente che il nostro protagonista si muove e dal quale vuole evadere frequentando persone "di fuori":
"Non quelli dell'officina di sicuro, erano solo degli echi e degli odori di macchine come me, carni vibrate all'infinito, i miei compagni. Era un corpo vero che volevo toccare, un corpo rosa di vera vita silenziosa e soffice"
(pag. 216)
Ferdinand vorrebbe avere un rapporto con una "persona", non con un involucro afflosciato, eco, o odore di macchine, cerca contatto con un corpo la cui fisicità possa attestargli la propria esistenza, possa travalicare il monotono fluire del tempo a cui anche un noi partecipiamo.



domenica, ottobre 15, 2006

Sull' opera di Borges - III

Borges nel racconto la "Sfera di Pascal" scrive (tratto da "Borges - Tutte le Opere, Ed. Meridiani - Mondadori) :
"Forse la storia universale è la storia della diversa intonazione di alcune metafore"(vol. I, pag. 911)
Questa frase nella sua semplicità rinchiude un bellissimo gioco di luci ed ombre. La luce del presente si mescola alle ombre del passato producendo sfumature sempre diverse eppure riconducibili allo stesso disegno preparatorio. La storia che ci figuriamo, a cui noi stessi contribuiamo, si colora con tonalità che differiscono con i tempi che passano ma con figure che sembrano ripetersi.
Borges concentra la sua attenzione sulla "sfera infinita il cui centro sta dappertutto e la cui superficie in nessun luogo" (Vol. I. 999), notando come la stessa metafora sia servita dapprima per definire il Creatore (Alain de Lille) e poi la Creazione, in senso esultante (Giordano Bruno) o angoscioso (Pascal). Quest' ultimo, come ci ricorda Borges, "Sentì il peso incessante del mondo fisico, sentì vertigine, paura e solitudine" (Vol. I - pag. 914) al punto da dire nel frammento 207 "infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano". Il senso di sconforto che si può scorgere in queste parole non è diverso da quello provato da noi per il tempo. Scandito da flussi di informazione sempre più veloci, il tempo scorre rapidamente e l'uomo si sente, oltre che minuscolo, lento, nella continua rincorsa, perdendo di vista quella dimensione intimistica della stasi che permette di prendere coscienza di sè.