Sulla memoria
Pasolini, nel suo cortometraggio La Ricotta, fa in modo che il regista Orson Welles reciti questa poesia ad un giornalista:
Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l'Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d'anagrafe,
dall'orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d'ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più.
La decadenza dell'uomo moderno è anche nel non aver memoria del proprio passato, nel sentire le cose trascorse come semplici frammenti che, come cocci rotti, si credono inutili. La forza del passato che proviene dai ruderi di distrutte civiltà, possiede internamente una modernità che non è quella banale del progresso ma quella più interessante della saggezza.
Mi viene in mente un bellissimo passo di Pavese tratto da Il mestiere di vivere:
Mi viene in mente un bellissimo passo di Pavese tratto da Il mestiere di vivere:
Quando un popolo non ha più un senso vitale del suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato.
Si diventa creatori - anche noi - quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia
Il popolo non può crescere se perde quella voglia di guardare indietro al fine di ottenerne un insegnamento per il futuro. La frase di Pavese non è solo un rifacimento moderno del ciceroniano "Historia magistra vitae", ma indica anche come la perdita delle proprie radici rappresenti per l'uomo una perdita di una parte di se stesso, il "destino" dell'uomo rappresenta una ricerca di sè che comporta sempre un ritorno alle origini.
A tal proposito, sempre di Pavese, mi viene in mente la poesia che dice:
(Da Cesare Pavese - Poesie, ed. Einaudi)
A tal proposito, sempre di Pavese, mi viene in mente la poesia che dice:
(Da Cesare Pavese - Poesie, ed. Einaudi)
Questo è il giorno che salgono le nebbie dal fiume
Nella bella città, in mezzo a prati e colline,
E la sfumano come un ricordo.[...]
Val la pena aver fame o essere stato tradito
dalla bocca più dolce, pur di uscire a quel cielo
ritrovando al respiro i ricordi più lievi.
(pag. 63)
Qui il ricordo rappresenta una sfumatura del mondo che permette di donare, per un fugace istante, una dose di levità, permettendoci di affrontare meglio il mondo che intorno ci stringe.
A volte i ricordi sono però grossi macigni che rotolano dentro di noi, trasportando paure e sofferenze mute.
A volte i ricordi sono però grossi macigni che rotolano dentro di noi, trasportando paure e sofferenze mute.