sabato, novembre 17, 2012

Cesare deve morire

"Cesare deve morire" è l'ultimo film dei fratelli Taviani, vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino 2012. Il film ripercorre tutte le fasi della messa in scena, dai provini fino al debutto in teatro, del Giulio Cesare di Shakespeare da parte di un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia. Quasi tutto il film è girato con un bianco e nero penetrante, profondo che si insinua nei volti segnati e vissuti dei detenuti, alcuni dei quali destinati al carcere a vita. Il bianco e nero lascia il posto al colore solo in tre momenti precisi: durante lo spettacolo in teatro (all'inizio ed alla fine del film) e quando un detenuto indugia su una foto rappresentante un bellissimo paesaggio marino lasciandosi forse cullare dai ricordi o dai desideri. I Taviani in modo molto esplicito evidenziano la profonda cesura tra la prigione e la libertà rappresentata dall'arte, dai desideri, dai ricordi felici. La location del carcere diventa il palcoscenico naturale per quest'opera in cui si parla di violenza, di tradimenti, di omicidi, di vendette ed i detenuti diventano i testimoni più fedeli ("ma perché di Cesari prepotenti a casa nostra non ne abbiamo mai conosciuti? E i tradimenti e le uccisioni?")
Così i Taviani ci restituiscono un film vero, profondo, che colpisce per il pathos espresso dagli attori che, recitando con il proprio dialetto, rendono l'opera di Shakespeare ancora più solida, concreta e attuale. 
Due passaggi in particolare sono interessanti. Nel primo Bruto si oppone all'uccisione di Antonio dicendo agli altri congiurati:
"[siamo] esecutori di giustizia e non macellai [...] Noi ci siamo rivoltati contro le idee. Noi ci siamo rivoltati contro lo spirito di Cesare, questo non è un assassinio è un sacrificio. Ah se si potesse strappare lo spirito al tiranno senza squarciare il petto suo"
ed una volta dette queste parole si interrompe perché emerge ferocemente il ricordo di un suo amico che, per aver espresso un concetto simile nei confronti di una sua futura vittima, era stato accusato di codardia da tutti, lui compreso. 
Il secondo episodio è dopo la morte di Cesare, quando Bruto, di fronte agli altri detenuti dirà: 
"Se poi quest'amico mi domanda perché Bruto è insorto contro Cesare ecco la mia risposta: non perché poco amassi Cesare ma perché molto amavo Roma. Avreste preferito Cesare vivo e noi morti in schiavitù o Cesare morto e noi vivi in libertà?"
Il sacrificio è fatto in nome di un'ideale più grande, la libertà, quella che questi attori vedono come un'immagine vivida in opposizione a quella cupa e senza colori della loro esistenza all'interno del carcere. La crudeltà, il tradimento, l'onore, la vendetta hanno scandito la loro vita ma solo attraverso l'arte sono riusciti a comprendere fino in fondo le proprie miserie seguendo un percorso quasi catartico. Lo stesso Cassio alla fine del film dirà "da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione" e mentre dice queste parole prepara il solito caffè con in sottofondo una stupenda musica ed i titoli di coda che ci riportano alla realtà delle loro condanne e delle nostre miserie.