mercoledì, giugno 14, 2006

Alla ricerca del tempo perduto - III

Proust parlando dei Cottard, una coppia che Swann incontra spesso dai Verdurin, scrive:
(Tratto da Alla ricerca del tempo perduto ed. Meridiani - Mondadori)

poichè dell'incanto, della grazia, delle forme della natura il pubblico non conosce che quel tanto che ne ha attinto negli esempi più banali di un'arte lentamente assimilata, e poichè un artista originale comincia appunto dal rifiuto di tali esempi, i Cottard, emblema in questo caso del pubblico, non trovavano nè nella sonata di Vinteuil nè nei ritratti del pittore ciò che rappresentava per loro l'armonia della musica e la bellezza della pittura.
(pag. 259)
Leggendo queste parole ci viene da pensare a quante volte noi stessi siamo stati quel pubblico, pieni della nostra arroganza intellettuale, indispettiti o addirittura turbati da forme diverse di espressione artistica, letteraria o corporea. Spesso l'incomprensione porta al rifiuto, alla derisione e anche all'emarginazione. Ci sentiamo sempre certi che il nostro sia l'unico punto di vista coerente, valido e non ci rendiamo conto di come la diversità ci renda ricchi.
Mi viene in mente un bel libro del Nobel americano Pearl S. Buck in cui, dipigendo la Cina del primo Novecento, senza mai giudicare o condannare, facendo parlare una donna cinese devota alla tradizione del suo popolo, scrive:
(tratto da Vento dell'Est, vento dell'Ovest - ed.Mondadori per Repubblica)
L'arpa è il più antico strumento del mio popolo, e andrebbe suonata quando c'è luna, sotto gli alberi, vicino ad acque chete. Allora la sua voce acquista arcane dolcezze. Qui però, dove suonavo ora, nell'opaca camera straniera, l'arpa dava un suono debole e soffocato.
(pag. 34)
Probabilmente ognuno di noi sente, di fronte ad un' arpa, emblema delle proprie tradizioni, delle proprie certezze, una sorta di venerazione: ci si sente protetti. E' difficile suonarla in "camere straniere", ovvero guardare oltre, senza aver paura di contaminazioni o di fratture con le proprie certezze, eppure il suono "debole e soffocato" acquisterebbe una dolcezza diversa, diverrebbe ora una sinfonia in cui la nostra è solo una nota che non perde la propria individualità ma concerta insieme alle altre per una musica nuova.

martedì, giugno 06, 2006

Sulla Natura - I

Dylan Thomas, grande poeta gallese del '900, scrive nella sua La forza che attraverso la verde miccia sospinge il fiore :
(Tratto da Dylan Thomas - Poesie , Guanda Editore per "Il Corriere della Sera")

La forza che attraverso la verde miccia sospinge il fiore
Sospinge anche la mia verde età; quella che le radici degli alberi dissecca
E' la mia distruttrice.
Ed io son muto per raccontare alla rosa inclinata
Che la mia giovinezza è piegata da uguale febbre invernale.

[...]

Ed io son muto per raccontare alla tomba dell'amante
Come lo stesso verme contorto al mio sudario vada.
(pag. 19)
mettendo in evidenza come, la nostra vita, le forze che ci sospingono o atterrano, non siano poi tanto diverse da quelle che dominano la natura tutta. Eppure c'è una sottile sofferenza dovuta all'impossibilità di comunicazione, di relazionarsi con la rosa, con il vento ecc.
La poesia continua, con un bellissimo gioco di ripetizioni ed anafore, nel sottolineare la nostra vicinanza eppure esclusione dalla Natura e si conclude con la tematica della morte, destino comune a tutto il creato.
Il tema dell'unione panica con la Natura o della sua perdita, si ritrova in molti autori con simbologie e modalità diverse. A me interessa, però, far notare un collegamento con Spesso il male di vivere ho incontrato di Montale in cui la sofferenza invade tutta la natura che condivide ugualmente il nostro stesso destino: è il fiume strozzato o la foglia incartocciata ecc. tutto sovrastato dall'unico bene, l'Indifferenza:
(Tratto da Montale - Tutte le poesie, ed. Meridiani - Mondadori)
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

(pag. 35)

venerdì, giugno 02, 2006

Sull'opera di Pasolini - II

Nella poesia La passione, Cristo viene immortalato sul crocifisso con il suo corpo umano e nonostante la poesia sia stupenda nella sua lettura completa, ne trascrivo qui la prima parte:
(Tratto da Bestemmia - Tutte le Poesie, ed. Garzanti)
Cristo nel corpo
sente spirare
odore di morte.
Ah che ribrezzo
sentirsi piangere!
Marie, Marie,
albe immortali,
quanto dolore...
Io fui fanciullo
e oggi muoio.
(Vol. I - pag. 291)
L'umanità di Cristo, che Pasolini cerca di trasmetterci, si può anche ritrovare nel suo film Il Vangelo secondo Matteo in cui i volti degli apostoli, della Madonna e dello stesso Gesù sono segnati dal lavoro e dal tempo.
Lo stesso Cristo, non più contaminato dagli stereotipi di bellezza moderna, risulta possedere una carica espressiva più incisiva e sincera.
Anche per chi non è credente, o non "nel senso restrittivo e condizionante della parola", Cristo possiede un forte carisma perchè, nonostante si possa non credere nella sua natura divina, possiede una umanità che travolge, è una persona che è andata controcorrente, ha sfidato i potenti per portare avanti un ideale di uguaglianza e libertà.
Certo i cattolici replicheranno dicendo che la sua grandezza è amplificata dal fatto che tale umiltà e spirito di sacrificio è presente nel figlio di Dio esaltandone quindi la propria portata e che vedere in Cristo semplicemente un uomo è una visione vicina all'eresia di Teodato di Bisanzio.
Non sono un teologo nè credo di poter mai destreggiarmi tra dimostrazioni o confutazioni, a me interessano le azioni ed i messaggi che perdurano nel tempo e credo che, anche per un non cattolico, il messaggio di cui Cristo si è fatto portavoce con la sua vita, sia di validità universale.
Non volendo prolungare oltre il discorso che sarebbe troppo vasto e fuori luogo, concludo ricordando un passo del bellissimo Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi:
Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non é morale, ma é un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non é disceso. Cristo si é fermato ad Eboli.
Forse le questioni teologiche, che con fine intelligenza trattano dei significati più profondi dei simboli e dei segni della divinità, a volte sono avulse dal mondo reale in cui la consolazione di un mondo migliore futuro si scontra con la sofferenza presente dove ormai il sole non scalda più!