sabato, settembre 22, 2007

La morte della Pizia

Lo scrittore svizzero Friedrich Durrenmatt nel 1976 scrive"La morte della Pizia" (i passi seguenti sono tratti da Racconti - Ed. Feltrinelli) un racconto in cui la sacerdotessa attuale devota ad Apollo (Pannichide), emette i suoi oracoli con irriverenza e capriccio. Un giorno gli si presenta il giovane Edipo e lei, con la solita aria divertita gli profetizza che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, una cosa talmente assurda che in realtà si avvera, ma non come noi cari alla tragedia di Sofocle, ci aspetteremmo, ma in un modo del tutto inaspettato. La storia di Edipo, infatti, viene raccontata alla Pizia, ormai morente, dai diversi protagonisti da Meneceo (padre di Giocasta), da Laio (padre presunto di Edipo), da Edipo, da Giocasta (madre presunta di Edipo) ed infine dalla Sfinge.



In un vortice di intrecci, congetture, confessioni, si delinea un quadro della storia completamente diverso da quello che siamo soliti leggere nei libri di mitologia. Ognuno ha agito secondo interesse, desiderio, capriccio. Ogni storia sembra verosimile eppure il suo senso viene modificato dalla successiva fino ad arrivare alla conclusione che la Sfinge sarebbe la vera madre di Edipo con cui ha avuto rapporti amorosi e che il padre di Edipo sarebbe un ufficiale di Laio, comunque ucciso dal giovane. Anche se la storia non è quella "originaria" il vaticinio si è comunque avverato.
Il mito di Edipo ci pone di fronte ad un problema non risolto. Quello che sembrava in apparenza racchiude dentro di se un segreto che ne racchiude un altro, e come tante matrioske alla fine rimane il nulla, l'incertezza.
Dopo che ogni personaggio verrà alla Pizia morente raccontando la propria "verità", ammesso che sia verità quello che raccontano, rimarranno Tiresia e Pannichide soli. Il cieco (anche se confesserà di non esserlo) dirà:
"Non crucciarti vecchia, lascia che sia ciò che è stato comunque diverso, e che continuerà a risultare sempre diverso, quanto più indagheremo. [...] La verità esiste solo nei limiti in cui la lasciamo in pace. [...] Ci siamo trovati di fronte alla stessa inquietante realtà, che è imperscrutabile come l'uomo che la produce" (pag. 251)
Durrenmatt rappresenta l'inconoscibilità dell'animo umano, le sue debolezze, le sue paure, le sue avidità, le sue mostruosità. Vi sono due mondi contrapposti: quello di Pannichide che profetizza con irriverenza e capriccio, e quello di Tiresia più sottomesso al calcolo politico ed all'interesse, eppure entrambi con uno scopo simile: "conferire una vaga parvenza d'ordine, una lieve traccia d'una qualche legge nel fluire tetro, lascivo e spesso sanguinoso degli eventi che ci è piombato addosso, trascinandoci con sè, proprio perché noi, anche se un poco soltanto, abbiamo tentato di arginarlo" (pag. 251)