giovedì, agosto 23, 2007

Il braccio penzolante

Marcenda, protagonista femminile dello stupendo romanzo di Josè Saramago, "L'anno della morte di Ricardo Reis" ha un braccio inerte a seguito della morte della madre, almeno lei sembra ravvisare un legame tra i due eventi. Un braccio che porta con se, cura come se fosse un gattino e che le dona, agli occhi del dottor Ricardo Reis, il protagonista del racconto (uno degli eteronimoi del poeta Fernando Pessoa), un'attrattiva notevole.
Il medico spesso si trova a parlare con il fantasma del poeta che gli dirà
“…solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia."
La solitudine, quindi, è l' incapacità di essere vicini a se stessi. Anche Marcenda forse sentiva estraneo quel braccio, lo sentiva distante da sè. Un'analoga situazione la ritroviamo nel romanzo d'esordio di Jonathan Safran Foer "Ogni cosa è illuminata" dove il nonno del protagonista (l'Eroe) possiede un braccio atrofizzato perchè non gli è stato permesso di nutrirsi al seno della madre e questo mancato nutrimento si è ripercosso su un'assenza di crescita di una sua parte del corpo. Questo braccio penzolante lo rende attraente agli occhi di molte donne con cui si trova ad avere rapporti senza peraltro riuscire a raggiungere l'orgasmo un'altro possibile effetto della mancata nutrizione.
Questi due pezzi di carne inerte, questi due ammassi corporei sembrano quasi non voler reagire semplicemente perchè non vogliono partecipare alle crudeltà del mondo a cui il resto del corpo è costretto ad assistere. In ambedue i libri si parla di guerra, nel primo dell'ascesa del Nazismo, nel secondo della sua folle furia distruttiva. A volte forse di fronte alle atrocità del mondo vorremmo chiuderci, non guardare, eppure questo non può che essere un atteggiamento irresponsabile.