Sull' opera di Borges - III
Borges nel racconto la "Sfera di Pascal" scrive (tratto da "Borges - Tutte le Opere, Ed. Meridiani - Mondadori) :
Borges concentra la sua attenzione sulla "sfera infinita il cui centro sta dappertutto e la cui superficie in nessun luogo" (Vol. I. 999), notando come la stessa metafora sia servita dapprima per definire il Creatore (Alain de Lille) e poi la Creazione, in senso esultante (Giordano Bruno) o angoscioso (Pascal). Quest' ultimo, come ci ricorda Borges, "Sentì il peso incessante del mondo fisico, sentì vertigine, paura e solitudine" (Vol. I - pag. 914) al punto da dire nel frammento 207 "infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano". Il senso di sconforto che si può scorgere in queste parole non è diverso da quello provato da noi per il tempo. Scandito da flussi di informazione sempre più veloci, il tempo scorre rapidamente e l'uomo si sente, oltre che minuscolo, lento, nella continua rincorsa, perdendo di vista quella dimensione intimistica della stasi che permette di prendere coscienza di sè.
"Forse la storia universale è la storia della diversa intonazione di alcune metafore"(vol. I, pag. 911)Questa frase nella sua semplicità rinchiude un bellissimo gioco di luci ed ombre. La luce del presente si mescola alle ombre del passato producendo sfumature sempre diverse eppure riconducibili allo stesso disegno preparatorio. La storia che ci figuriamo, a cui noi stessi contribuiamo, si colora con tonalità che differiscono con i tempi che passano ma con figure che sembrano ripetersi.
Borges concentra la sua attenzione sulla "sfera infinita il cui centro sta dappertutto e la cui superficie in nessun luogo" (Vol. I. 999), notando come la stessa metafora sia servita dapprima per definire il Creatore (Alain de Lille) e poi la Creazione, in senso esultante (Giordano Bruno) o angoscioso (Pascal). Quest' ultimo, come ci ricorda Borges, "Sentì il peso incessante del mondo fisico, sentì vertigine, paura e solitudine" (Vol. I - pag. 914) al punto da dire nel frammento 207 "infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano". Il senso di sconforto che si può scorgere in queste parole non è diverso da quello provato da noi per il tempo. Scandito da flussi di informazione sempre più veloci, il tempo scorre rapidamente e l'uomo si sente, oltre che minuscolo, lento, nella continua rincorsa, perdendo di vista quella dimensione intimistica della stasi che permette di prendere coscienza di sè.