giovedì, maggio 18, 2006

Sul mito e la mitologia - II

Il mito nasce come bisogno dell'uomo di comprendere la realtà che lo circonda.
Molte delle vicende umane e naturali, che si sono succedute nei secoli, hanno visto un corrispondente mitico che permettesse agli uomini di comprenderle appieno e di accettarne le conseguenze.
L'uomo antico possiede come modello uomini forti il cui coraggio è impresso nelle opere senza tempo dell'Iliade, dell'Odissea, dell'Eneide, delle leggende Celtiche ecc.
Durante il '900 alcuni autori hanno riutilizzato temi mitici, pieni quindi di quella sacralità che la storia gli ha conferito, per mettere in evidenza il degrado, la ripetitività, l'assenza di ideali forti dei propri tempi.
Eliot nella recensione che fa dell'Ulisse di Joyce scrive:
"Nell'usare il mito, nel manipolare un continuo parallelismo fra il mondo contemporaneo e il mondo antico Joyce sta seguendo un metodo che altri devono seguire dopo di lui [...]. E' semplicemente un modo di controllare, ordinare, dare forma e significato all'immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea [...] invece del metodo narrativo, noi possiamo ora usare il metodo mitico"
Il mito qui diviene un mezzo per mettere in ridicolo la realtà, senza che esso possa rivelare nulla, se non l'attesa, sempre tradita, di una vita eroica. Vengono così in mente le opere di De Chirico, dove il silenzio e l'attesa sono i protagonisti principali; la snervante e solitaria attesa del Deserto dei Tartari di Buzzati; il paesaggio desertico delle poesie di Sbarbaro; l'attesa Beckettiana dell' Aspettando Godot e molti altri.
Eliot, tra i più grandi poeti del '900, ci ha donato un' opera con un'elevatissima carica espressiva dove, già con il titolo, The Wasteland (terra desolata), dichiara con forza il paesaggio che si presenta all'uomo moderno: devastazione e lacerazione, che si ripercuotono anche nel linguaggio utilizzato (frammentario e lacerato).
Il testo è tratto da "La Terra Desolata", ed. Rizzoli
"Nell'ora violetta, quando gli occhi e la schiena
Si levano dallo scrittoio, quando il motore umano attende
Come un tassì che pulsa nell'attesa,
Io Tiresia, benché cieco, pulsando fra due vite,
Vecchio con avvizzite mammelle di donna, posso vedere
Nell'ora violetta, nell'ora della sera che contende
Il ritorno, e il navigante dal mare riconduce al porto.
La dattilografa a casa all'ora del tè, mentre sparecchia la colazione, accende
La stufa, mette a posto barattoli di cibo conservato.
Pericolosamente stese fuori dalla fìnestra
Le sue combinazioni che s'asciugano toccate dagli ultimi raggi del sole,
Sopra il divano (che di notte è il suo letto)
Sono ammucchiate calze, pantofole, fascette e camiciole.
Io Tiresia, vecchio con le mammelle raggrínzite,
Osservai la scena, e ne predissi il resto - "
(pagg. 103-104 - vv. 215 - 229)
Eliot esegue quello che Joyce fa con la prosa e Beckett con il teatro: una destrutturazione delle normali forme di espressione alla ricerca di un linguaggio più vicino all'intimo dramma dell'uomo, alla sua lacerazione interiore ed utilizza il mito come viatico per una lucida dimostrazione della nostra futilità ed inettitudine.