Horcynus Orca - I
Stefano D'Arrigo, fine letterato morto nel 1992, dopo 20 anni di correzioni consegna, nel 1975, il suo capolavoro: Horcynus Orca (i passi sono tratti dall'Edizione Rizzoli).
Il libro in cui ogni pagina è carica di poesia, ogni riga è sapientemente composta, ci pone di fronte al mistero del Mare, al suo arcano silenzio che racchiude storie al limite del fantastico dove i delfini, le famigerate "fere", decidono di morire lanciandosi nel fuoco purificatore di Vulcano, in cui le Femminote si sentono sempre più legate alle navi con cui viaggiavano tra Calabria e Sicilia tanto da sentirsene "vedovate" dopo il loro affondamento, dove il combattimento dei pescatori ("i pellisquadre") con le "fere" sembra quasi un combattimento tra antichi eroi.
Ogni pagina dimostra un sapiente utilizzo della lingua, soggetto proteiforme, in continua evoluzione, dove la parola non è solo veicolo di informazione ma diventa essa stessa opera d'arte, degna di essere ricordata. Questa lingua, che ricorda Joyce per l'innovazione, Verga per la carnalità, Carlo Levi per la poeticità, è ricca di terra, di acqua, di sentimento.
Riporto un passo in cui è il silenzio il protagonista principale, quel silenzio che ci pone di fronte ai misteri della vita e della morte, che ci fa sentire ogni giorno più uomini, ogni attimo più eterni.
Il libro in cui ogni pagina è carica di poesia, ogni riga è sapientemente composta, ci pone di fronte al mistero del Mare, al suo arcano silenzio che racchiude storie al limite del fantastico dove i delfini, le famigerate "fere", decidono di morire lanciandosi nel fuoco purificatore di Vulcano, in cui le Femminote si sentono sempre più legate alle navi con cui viaggiavano tra Calabria e Sicilia tanto da sentirsene "vedovate" dopo il loro affondamento, dove il combattimento dei pescatori ("i pellisquadre") con le "fere" sembra quasi un combattimento tra antichi eroi.
Ogni pagina dimostra un sapiente utilizzo della lingua, soggetto proteiforme, in continua evoluzione, dove la parola non è solo veicolo di informazione ma diventa essa stessa opera d'arte, degna di essere ricordata. Questa lingua, che ricorda Joyce per l'innovazione, Verga per la carnalità, Carlo Levi per la poeticità, è ricca di terra, di acqua, di sentimento.
Riporto un passo in cui è il silenzio il protagonista principale, quel silenzio che ci pone di fronte ai misteri della vita e della morte, che ci fa sentire ogni giorno più uomini, ogni attimo più eterni.
"Il primo e più impressionante segno della carestia è sempre questa morìa di parole, e non di parole di discorsi, ma di parlottamenti e sgridii e incitamenti del varo: oooh....issa, mo', ora...come questi, tanto per dire, e persino degli elementari saluti, bongiorno, bonanotte, benedìcite [...] Il silenzio viene dal mare e pare, certe volte, che i pellisquadre varano solo per farne delle grandi imbarcate e di lontano, a giudicare dalla pesantezza della remata, verrebbe da credere che fecero finalmente scialibi di pesce: e poi, mentre disarmano, pare veramente di sentirlo che si rovescia sulla riva e fa un gran fracasso di taciturnità all'orecchio [...] Il silenzio si sprigiona di là, dalle acque incarognite e tocca terra, entra nelle case, contagiando tutto e tutti, come un vento colloso che appuzzisce il fiato e s'attacca strettamente alle labbra, e queste si seccano e piagano come provate da una sete di mare, prolungata e incattività dall'acqua salata: per la lingua invece, pare nutrimento ricco e malvagio, cresce, si gonfia in bocca, si muove come per scappare e col suo contatto velenoso dà bruciature al palato in tutto simili a quelle che dà medusa, dolorosissime." (pag. 376)