martedì, novembre 04, 2008

La Folla

Mao II, il decimo romanzo di Don DeLillo, è pieno di folla, come dice nel suo commento all'opera il critico Tom LeClair. Ciò che colpisce in questo romanzo, che come tutte le opere di DeLillo è pieno di riflessioni e domande, è la preponderante presenza dei grandi ammassi di persone. Il romanzo apre parlando di un matrimonio di massa secondo il rito del reverendo Moon all'interno dello Yankee Stadium, e si conclude con la visione di un matrimonio a Beirut preceduto da un carroarmato. La folla è presente ai funerali di Khomeini o tra le strade di New York piena di senza tetto.
"The future belongs to crowds." [trad. "Il futuro appartiene alle folle"] (pag. 16 )
E' la folla fervente, che diventa anonima, informe, rivedendosi e annullandosi nel proprio leader, è questa la folla che crea gli idoli e si fa da loro trasportare. Quando la fotografa Brita andrà a Beirut per fotografare il leader terrorista Abu Rashid l'interprete le dirà, giustificando la presenza dei cappucci sui volti dei ragazzi nella stanza:
"I ragazzi che lavorano vicino ad Abu Rashid non hanno faccia o voce. I loro lineamenti sono identici. Sono i suoi lineamenti. Non hanno bisogno dei propri lineamenti o voci. Essi stanno cedendo queste cose per qualcosa di potente e grande"
(pag. 234)
e più avanti dirà:
"il terrore è quello che noi usiamo per dare alla nostra gente il loro posto nel mondo. Quello che viene ottenuto con il lavoro noi lo guadagniamo col terrore. Il terrore rende un nuovo futuro possibile. Tutti gli uomini un uomo" (pag. 235)
Siamo poi tanto diversi, sotto l'aspetto dell'acritica accettazione di quello che i moderni idoli ci propinano, da quei ragazzi senza volto? Riusciamo ad avere i nostri lineamenti, una voce propria ed abbiamo il coraggio e la voglia di farci sentire?
(I brani sono tratti da Mao II - Don DeLillo, Ed. Penguin Book e tradotti)

domenica, giugno 15, 2008

Queneau: il tempo, la Storia, il sogno - II

Nel suo libro "Zazie nel metrò" Queneau racconta una sorta di favola dove una bambina, l'opposto dell'innocenza, crea scompiglio nella famiglia dello zio dove è ospite per un paio di giorni. E' una fiaba metropolitana, dove al posto dell'innocenza fanciullesca trova posto la sfacciatagine, al posto dell'educazione lo sberleffo nei confronti della morale e del senso del pudore. Lo zio Gabriel, che si esibisce in un locale per omosessuali di Pargi però dice:
Parigi è solo un sogno, Gabriel è solo un'ombra (incantevole), Zazie il sogno di un'ombra (o di un incubo) e tutta questa storia il sogno di un sogno, l'ombra di un'ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota(oh! mi scusi)
E questo ci permette di ricollegarci a questo tema sempre caro a Queneau, quello del sogno, della labilità della realtà, dove il surreale diventa un modo per esprimere le contraddizioni della modernità, perchè dietro ogni sorriso e assurdità si racchiude un senso profondo di smarrimento.
Nel manifesto del Movimento surrealista del 1924 si definisce surrealismo:
Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale.
Almeno inizialmente Queneau è vicino al surrealismo da cui dopo però si allontana, ma permangono sempre in lui l'interesse verso l'onirico ed il sogno come testimonia anche il suo libro "I fiori blu". Spesso definire sogno una situazione permette di elevarla al di sopra delle convenzioni e di esprimere in modo più pungente l'assurdità della realtà.

sabato, giugno 07, 2008

Underworld

Ogni volta che si legge un libro di DeLillo si rimane colpiti dalla profondità della pagina. Il racconto travalica i limiti del foglio per avvolgere la nostra vita e ci presenta ciò che accade in un modo nuovo e sempre più profondo. "Underworld" è, credo, il capolavoro narrativo di DeLillo, diverse storie che si avvicinano ed allontanano in 900 pagine in cui magistralmente vengono rappresentati gli eventi. Cercare di riassumerne il contenuto non ha senso. Tutto ha inizio con la storica partita di baseball dei Giants contro i Dodgers del 1951 raccontata nelle prime 50 pagine e che, attraverso la palla dell'ultimo fuoricampo, avvolge tutto il racconto. La storia americana degli anni '50 - '60 viene sezionata attraverso lo sguardo di uomini comuni, miti veri e fasulli.
"Tutto è collegato, alla fine" (pag. 879) sembra quasi un monito al lettore di come ogni azione possa condizionare lo scorrere degli eventi, come ognuno di noi abbia una responsabilità.
Di questo libro si potrebbe parlare a lungo ma volevo solo mettere in evidenza un passo che credo sintetizzi bene la dimensione dell'opera di DeLillo. Nell'ultimo capitolo, si narra dell'apparizione su un cartellone pubblicitario di una bambina uccisa nel Bronx, Esmeralda. Il giorno dell'apparizione molte persone sono lì a guardare il fenomeno e così anche il giorno dopo con l'arrivo di venditori di cimeli, gadget... Il terzo giorno arriva la mamma tossicomane scomparsa e si sente male, ed il quarto giorno il cartellone pubblicitario viene rimosso.
"Il cartellone è tutto bianco. con due sole parole, Spazio Disponibile, seguite da un numero di telefono a caratteri eleganti" (pag. 876)

"E cosa ricordi, alla fine, quando tutti sono andati a casa e le strade sono vuote di devozione e speranza, spazzate dal vento del fiume? Il ricordo è vago e amaro, e ti fa vergognare con la sua fondamentale menzogna - tutto sfumature e silhouette magica? Oppure la potenza del trascendente indugia, il senso di un evento che viola le forze naturali, qualcosa di sacro che pulsa all'orizzonte caldo, la visione che desideri ardentemente perché hai bisogno di un segno che contraddica il tuo dubbio? [...] E ricorda l'odore del carburante degli aerei. Questo è l'incenso della sua esperienza, cedro e resina bruciati" (pag. 876-877)
In una zona degradata come il Bronx, vi è lo spazio per un momento di poesia, o forse è proprio in quelle zone che si esprime con tutta la carica un certo tipo di poesia metropolitana fatta di speranza, di contraddizione, di delirio, di redenzione.
Il miracolo accade nel Bronx, e dove appare il volto se non su un cartellone pubblicitario, simbolo del consumismo, del nostro desiderio incessante di acquistare e consumare? E quello "Spazio disponibile" cosa rappresenta? La prossima sostituzione con un nuovo miracolo, più d'effetto, con maggior attrattiva, perché anche nel miracolo vi è un subdolo aspetto consumistico... oppure cosa? Eppure qualsiasi momento di profondità rimane avvolto nell'atmosfera metropolitana dove simboli della modernità vanno a sostituire quelli sacri.

L'ultima parola del libro è "Pace", forse "Spazio disponibile" rappresenta un modo per raggiungerla o in cui crediamo di averla a portata di mano.

domenica, aprile 27, 2008

L'onirico di Lynch

L'ultimo film del grande regista americano David Lynch è "INLAND EMPIRE" che potremmo tradurre come "L' impero della mente".
Il film rappresenta una summa dell'opera di Lynch: l'onirico, l'angoscia, la confusione e molto altro. Con questo film il regista ha spiazzato tutti facendo in modo che molti critici e fruitori osservassero come il film fosse insulso ed incomprensibile.
Certamente l'opera non è semplice e, come tutti i film di Lynch, richiede attenzione ed apertura mentale. E' necessario lasciarsi trasportare dalle emozioni che il regista vuole trasmettere. Lo spettatore perde i punti di riferimento e si trova in balia delle immagini: gioia, dolore, angoscia, tristezza. Quello che Lynch crea non è un film, ma una serie di lampi emozionali che ci permettono di guardare dentro noi stessi perchè mette a nudo l'assurdo, il dolore, le paure, le angosce presenti in ognuno di noi.
La storia è semplice e come dice lo stesso Lynch:
"parla di una donna nei guai, ed è un mistero"

La donna è un' attrice, Nikki Grace, scelta per interpretare Sue Blue ma durante le riprese del film compie un viaggio dentro se stessa in modo da perdere il senso della realtà.
Lynch, in un'intervista per il lancio di "INLAND EMPIRE", ha citato un passo dell' Aitareya Upanishad:

"We are like the spider. We weave our life and then move along in it. We are like the dreamer who dreams and then lives in the dream. This is true for the entire universe."

sintetizzando così il suo pensiero sulla vita e su come realizza i film.
Nelle sue opere, partendo da "Eraserhead", passando per "Velluto blu", "Strade perdute", "Mulholland Drive", fino ad arrivare ad "INLAND EMPIRE", si avverte sempre un'angoscia, un frustrante senso di alienazione nel vedere alcune scene cariche di tensione ed attesa. Ma poi accade qualcosa che non ci aspettavamo, che non ha un senso, che non segue un filo logico. Ma chissà se la vita è veramente così logica, chissà se non siamo noi a voler dare una logica alle cose per sentirci più sereni?! Oppure è solo la nostra mente così squisitamente illogica?!

sabato, marzo 08, 2008

L'uomo che cade

L'ultimo romanzo di Don DeLillo, "L'uomo che cade", narra dell'11 settembre 2001, di quello che è accaduto a New York, della vita di un sopravvissuto, Keith, che scende dalle torri con in mano una valigetta non sua. Senza comprendere cosa stia facendo si avvia verso la casa della moglie da cui è separato e ricrea con lei un rapporto che da anni si era interrotto. Ovviamente tutto viene raccontato con maestria dal grande scrittore americano, un narratore onnisciente che di volta in volta punta l'obiettivo su un personaggio e lo segue nei suoi pensieri, nella sua vita. E' così che conosciamo i pensieri della moglie Lianne, le paure di Keith e i desideri del gruppo di terroristi che organizzano l'attentato. Le storie della famiglia riunita e dei kamikaze si muovono su due tempi opposti: la prima vicenda si allontana dall 11/9 mentre la seconda si avvicina alla fatidica data, ma si incontrano nelle ultime pagine piene di caos e silenzio chiudendo in modo circolare la narrazione.
Ci sono diverse cose da notare nel racconto, una fra tutte il riferimento al grande pittore bolognese, Giorgio Morandi. Quest'ultimo è famoso nel mondo per le sue nature morte formate da oggetti comuni, di uso giornaliero, che vengono da lui fissate sulla tela come a creare un senso di attesa metafisica, come se avessero qualcosa da dirci. Eppure sono oggetti inanimati. DeLillo sembra quasi voler creare un parallelo tra queste opere, la condizione di sospensione del tempo che queste producono e la figura dell' "uomo che cade". Questi è un artista formatosi all'accademia di arte drammatica di Cambridge, che si mette un'imbracatura abbastanza rudimentale e si lascia cadere nel vuoto, probabilmente
"Intendeva riflettere la postura di un uomo in particolare che era stato fotografato mentre cadeva dalla torre nord del World Trade Center, a testa in giù, con le braccia tese lungo i fianchi, un ginocchio sollevato" (pag 229)
Lianne aveva avuto avuto modo di vederlo da vicino quando si era lanciato da una piattaforma alla fine di un tunnel ferroviario nel momento in cui transitava un treno.
Il "falling man", che poi dà anche il titolo al libro, è un personaggio chiave del racconto, il suo nome viene svelato solo alla sua morte, perchè l'importante è quello che rappresenta. David Janiak, questo è il suo nome, voleva rappresentare un corpo nel puro movimento
"Una cosa sola, in sostanza, avrebbero potuto dire. Qualcuno che cade. Un uomo che cade" (pag. 168)
ma anche un corpo sospeso, in silenzio, immobile di fronte al delirio, mentre tutto intorno a se continua a pulsare, a vivere, anche bruciare, lui è lì, solo, in preda ad un atto di terrore e di libertà. Eppure è solo un corpo che cade.
(passi tratti da "L'uomo che cade", Don DeLillo, Einaudi)

domenica, febbraio 24, 2008

Rumore bianco

"E' il linguaggio delle onde e delle radiazioni, ovvero quello per il cui tramite i morti parlano con i vivi. Ed è lì che aspettiamo, tutti insieme, a dispetto delle differenze di età, i carrelli stracarichi di merci colorate. Una fila in movimento lento, gratificante, che ci dà il tempo di dare un'occhiata ai tabloid nelle rastrelliere. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno, che non sia cibo o amore, lo troviamo nelle rastrelliere dei tabloid. Storie di fatti soprannaturali ed extraterrestri. Vitamine miracolose, le cure per il cancro, i rimedi per l'obesità. Il culto delle star e dei morti." (pag. 349)
E' così che termina il romanzo "Rumore bianco" dell'autore americano, di origini italiane, Don DeLillo. Il libro è pieno di interessanti spunti di riflessione, tutti molto attuali e che fanno di DeLillo uno scrittore che sa esprimere come pochi altri i drammi del nostro tempo.
Il consumismo è alla base della nostra società e la nostra vita diventa un'attesa ad una cassa di un mega supermercato in cui, attendendo il proprio turno, ci facciamo distrarre dai tabloid, riviste che ci presentano un mondo sempre più di plastica ed artefatto e in cui sono racchiuse le aspirazioni, i sogni della nuova società. Basti rileggere a pag 96
"Comperavo con abbandono incurante. Comperavo per bisogni immediati ed eventualità remote. Comperavo per il piacere di farlo, guardando e toccando, esaminando merce che non avevo intenzione di acquistare ma che finivo per comperare"
L'autore americano mette a nudo le contraddizioni della ipertecnologica società in cui vive il protagonista, Jack Gladney, professore universitario di studi hitleriani, che è la stessa in cui noi viviamo. Jack è sempre scettico di fronte al pericolo, sempre sicuro che esista una soluzione ultra moderna e priva di rischi, è quasi in preda ad un senso di onnipotenza. Eppure si accorgerà che non è così, che siamo tutti destinati a convivere con nuove tipi di morte come dirà il suo collega Murray
"Ogni progresso in conoscenza e tecnica viene pareggiato da un nuovo tipo di morte, da una nuova specie. La morte si adatta, come un agente virale." (pag. 167)
Ed il rumore bianco del titolo non è altro che questo senso di morte che avvolge tutti gli uomini.
"Portiamo la stessa maschera.
- E se la morte non fosse altro che un suono?
- Rumore elettrico
- Lo si sente per sempre: suono ovunque. Che cosa tremenda!
- Uniforme, bianco"(pag. 216)
La morte è il protagonista silenzioso ed onnipresente di questo romanzo. Di fronte ad essa si può cercare di rimuoverne il ricordo, come fa la moglie di Jack, o cercare di affrontarla come il ragazzo che vuole rimanere chiuso in una gabbia con serpenti oppure giungere al gesto estremo dell'omicidio catartico.
Ma sopra ogni cosa, ogni tentativo, aleggia questo rumore elettrico, non molto diverso dalle onde che veicolano le nostre comunicazioni.
(Passi tratti da "Rumore bianco", Ed. Biblioteca di Repubblica)

sabato, gennaio 26, 2008

Medea ed il mito ritrovato - I

La storia di Medea, come donna ferita dal tradimento di Giasone e carnefice dei propri figli, è la versione che ci è stata tramandata da Euripide e che mette in evidenza i tratti greci della concubina e della madre.

Il mito di Medea è stato ripreso da molti autori dall'antichità fino ai nostri giorni, partendo da Euripide, Ovidio (della cui opera a riguardo si è persa ogni traccia) fino alle opere di Grillparzer, Alvaro e la stupenda versione cinematografica di Pasolini.
Ogni "versione" porta in se degli elementi di discussione che ovviamente non si possono esaurire nè banalizzare in questa sede, ma quasi tutte le opere riprendono il mito secondo la tradizione euripidea. Christa Wolf, invece, rielabora i frammenti del mito provenienti da fonti diverse, attestate soprattutto da Apollonio Rodio, mettendo in evidenza, nello stesso tempo, come nella storia dell'uomo ci sia stata la tendenza, nei momenti di crisi, a cercare un capro espiatorio, a caricare spesso di segni negativi una determinata figura, spesso femminile (si chiami Cassandra, o "strega" destinata al rogo) per destituirla di ogni autorevolezza.
La Medea che uccide i propri figli e dice riguardo alla fine che dovrà fare Giasone: (Eurip. Medea vv. 803 - 806)
Ché vivi non vedrà mai più quei figli ch'ebbe da me, né dalla nuova sposa avrà mai prole, ché il destino vuole che quella trista donna trista morte trovi pei miei veleni
è una donna forte che vuole esprimere la propria autorità e vuole spogliare lo sposo di qualsiasi motivo di orgoglio (i figli ed il potere) per affondarlo. E' lontanissima dalla Medea della Wolf che dice (C. Wolf, Medea ed. e/o)
"Morti. Li hanno uccisi. Lapidati, dice Arinna. E io che credevo che, se me ne fossi andata, la loro sete di vendetta sarebbe passata. Non li conoscevo.[...] L'amore è stato fatto a brani, cessa anche il dolore. Sono libera. Senza desideri ascolto il vuoto che mi colma"(pag. 223)
E' in queste strazianti parole che Medea esprime il suo spirito di madre, ferito, distrutto da una cieca rivolta del popolo di Corinto.
In questa bellissima opera della scrittrice tedesca, in cui la materia è sviluppata attraverso un gioco di monologhi interiori, le pagine sono cariche di passione, alcune di odio, altre di amore ma quelle che più ci colpiscono sono quelle intrise delle urla silenziose degli innocenti figli di Medea.


Per un primo approfondimento, oltre alla lettura dell'opera nella bella edizione e/o, consiglio il seguente link:
http://www.griseldaonline.it/formazione/medea_varotti.htm